23 settembre 2015

Alain Delon & Romy Schneider

“Questa è la storia di un lui e di una lei” e, come tutte le storie più belle, non ha un lieto fine. Quello tra Alain Delon e Romy Schneider è sempre stato un rapporto complicato. Cinque anni insieme non privi di turbolenze.

Si conoscono nel 1958, quando vengono scelti come protagonisti di Christine, L’amante Pura di Pierre Gaspard-Huit. Delon era la stella nascente del cinema francese mentre Romy era già molto popolare grazie alla trilogia di Sissi. Quando la Schneider arriva all’aeroporto di Parigi viene accolta come una vera diva, ad attenderla, tra i tanti, c’è anche Alain, fermo ai piedi della scaletta con in mano un grande mazzo di rose rosse «Un ragazzo troppo bello, troppo ben pettinato, vestito in modo inappuntabile, con una cravatta perfetta e un abito tagliato secondo gli ultimi dettami della moda. Sorrisi, flash, occhi sgranati. Ma a me, poco abituata a quelle parate pubblicitarie, sembrava tutta una esagerazione, tutto artefatto, una finzione come sul set di un film. Perfino le rose che Alain teneva in mano mi sembravano troppo rosse per essere vere». 
L’impressione negativa che si è fatta di Delon, diventa certezza quando, durante un ballo al Lido, Delon continua a sussurrarle, in un tedesco imbarazzante, Ich liebe dich (ti amo) baciandola davanti a tutti i giornalisti. 
Ma poi tutto cambia. Cominciano le riprese del film e i due hanno modo di conoscersi meglio. Abbandonata l’immagine da bellone rubacuori sempre impeccabile, Delon rivela la sua vera natura: «Un matto. Un ragazzo meraviglioso in jeans e camicia sportiva, sempre spettinato, capace solo di parlare a raffiche velocissime, un selvaggio perennemente in ritardo che girava per Parigi con un’auto sportiva infischiandosene dei semafori rossi».

Ha inizio così la storia tra due persone che non parlavano la stessa lingua e che provenivano da passati completamente diversi ma che riuscivano ad intendersi con un solo sguardo. In comune avevano la voglia di ribellarsi: lui da un’infanzia infelice, lei dalla presenza ingombrante della madre, che spera di riscattarsi da una carriera fallimentare attraverso la figlia. Seguono cinque anni di fidanzamento vissuti a Parigi, una città che conquista Romy e che la fa sentire veramente a casa. Sono anni di lavoro intenso non solo sul piano artistico ma anche personale. Romy si trasforma in una donna sicura di sé, elegante e dallo stile impeccabile e, negli anni ’60, diviene l’attrice più pagata d’Europa.  
Alle interviste si dichiarano entrambi straordinariamente felici e le foto che vengono scattate ai due mentre sono alle prese con la vita fuori dal set fanno sognare tutto il mondo. Sono teneri ed affiatati, sorridono e fanno progetti per il futuro. Poi, come un fulmine a ciel sereno, arrivarono un mazzo di rose ed un biglietto: «Cara, mi dispiace. So che ti avrei reso la vita infelice. Lasciandoci adesso, sarà più facile restare amici. Ed è quello che ti chiedo. Ti auguro ogni bene. Alain». Poi arrivò la notizia: Delon si era sposato in Messico. 

Nonostante la rottura, i due resteranno legati per tutta la vita. Romy non ha mai avuto il coraggio di interrompere i rapporti con Delon e così anche lui, che non si è mai perdonato quel gesto tanto vigliacco.
Da quel momento per la Schneider seguirono una serie di tragici eventi: prima la scoperta di un tumore e l’asportazione di un rene poi l’improvvisa scomparsa del figlio. 

È il 29 maggio del 1982 quando Delon riceve la notizia della morte di Romy. Precipitatosi al suo capezzale, decide di trascorrere delle ore solo con lei. E così, per la prima volta nella sua vita, dà libero sfogo ai suoi sentimenti e scrive una lunga lettera «Riposati. Sono qui, vicino. […] Ich liebe dich . Ti amo, mia Puppelé».

Fonti: Il corriere della sera, filmtv.it, style.it, gaetanosaglimbeni.jimdo.com

15 settembre 2015

The Breakfast Club

Atleta, principessa, cervellone, criminale, strana, se per alcuni gli anni del liceo sono terminati da tempo, per altri sono storia attuale. Molto probabilmente è capitato a tutti di essere etichettati in una determinata maniera e di averne sofferto, oppure di aver interpretato un ruolo solo per essere notato o rispettato. Perché la scuola è l'ambiente in cui si stringono forti amicizie e si ride a crepapelle per le cose più stupide, in cui si creano complicità e alleanze che sembrano indistruttibili ma è anche l'ambiente in cui si viene giudicati e criticati, snobbati e derisi, in cui s'impara a fermarsi all'apparenza, l’ambiente che più di tutti riesce a riunire classi sociali e personalità completamente diverse, a farle confrontare e scontrare. 

Questo post avrebbe dovuto essere una sorta di raccolta di film  ambientati a scuola che, per un motivo o per un altro, rimangono indimenticabili, penso a Rushmore, Grease, Noi siamo infinito o Mean Girls. Ma ho deciso invece di soffermarmi su un film in particolare, che più di tutti (secondo il mio modestissimo parere) rappresenta meglio questo periodo tanto complesso: parlo di The Breakfast Club
Trama: I cinque protagonisti (Andy, Brian, John, Allison e Claire) sono costretti a trascorrere, per punizione, otto ore in biblioteca  a scrivere un tema dal titolo "Chi sono io?". Man mano che trascorrono le ore, cadono le maschere che li hanno caratterizzati sino a quel momento, lasciando posto a pensieri più profondi, paure e debolezze che non avrebbero mai pensato di mostrare agli altri. 

Questo film ha segnato un’intera generazione e sebbene appartenga al lontano 1985, è ancora estremamente attuale, perché fotografa una generazione apparentemente felice e libera ma che in realtà manifesta, in maniera indiretta, un grande disagio. 

Credo che sia impossibile non identificarsi almeno un po' con uno dei personaggi, proprio perché certe dinamiche le abbiamo vissute tutti, chi più chi meno. Parlo ad esempio dell'ossessione di non voler deludere le aspettative dei propri genitori, di voler primeggiare sugli altri nello sport per dimostrare qualcosa o nel sentirsi diversi ed emarginati dagli altri e non riuscire ad uscire dal proprio guscio. 
Quel tema assegnato all'inizio delle otto ore non verrà mai svolto da tutti, probabilmente perché chi sono lo scopriranno solo il lunedì mattina, quando tutto sarà finito, quando torneranno alla vita di sempre, quando dovranno decidere se continuare ad indossare la stessa maschera oppure no. Possono quindi bastare solo otto ore per abbattere i pregiudizi e iniziare un nuovo capitolo? Probabilmente no, ma sono sufficienti a capire che quelle etichette possono essere eliminate. Basta solo volerlo.